giovedì 26 settembre 2013
martedì 24 settembre 2013
L'arca della pace in giro per il mondo con i sopravvissuti dell'atomica
di Marina Forti
Le storie e le testimonianze degli "hibakusha",
i sopravvissuti del primo e unico bombardamento nucleare della storia.
Quello di Hiroshima e Nagasaki, il 6 e il 9 agosto 1945
i sopravvissuti del primo e unico bombardamento nucleare della storia.
Quello di Hiroshima e Nagasaki, il 6 e il 9 agosto 1945
foto scattata da Francesco Martone |
Sono i testimoni del primo e finora unico bombardamento nucleare della storia umana. Sono chiamati hibakusha,
letteralmente “esposti alle radiazioni” atomiche: i sopravvissuti alle
esplosioni di Hiroshima e Nagasaki, rispettivamente il 6 e il 9 agosto
1945. La seconda guerra mondiale era ormai agli sgoccioli quando i
bombardieri degli Stati uniti d'America hanno sganciano sulle città
giapponesi quelle bombe di un nuovo tipo, mai sperimentate prima: il
primo assaggio di cosa potrebbe essere un olocausto nucleare, almeno 150
mila morti in poche ore (alcune stime arrivano a 300 mila), quasi tutti
civili. Poco dopo il Giappone firmò la resa, e la vulgata storica
tramandata in Occidente è che quel bombardamento, per terribile che
fosse, era stato necessario per piegare una potenza aggressiva e mettere
fine alla guerra. Verità contestata, perché il Giappone era già allo
stremo e aveva mandato segni di volere l'armistizio. Ma le esplosioni
atomiche sulle due città giapponesi segnavano l'ascesa di un altro tipo
di forza bellica, e ovviamente della potenza che era stata capace di
esercitare quella forza schiacciante, capace di annichilire.
Anni
fa uno scrittore giapponese, lo scomparso Makoto Oda, mostrava una foto
del bombardamento a tappeto di Osaka, nel 1945, alla vigilia della
capitolazione del Giappone: scattata dalle forze armate americane, la
foto mostrava la nuvola di fumo e gas che avvolgeva la città. “Io ero
là, dentro il fumo”, diceva Oda per spiegare l'essenza della sua
militanza per la pace (in “Dentro il fumo. Colloquio con Makoto Oda, http://www.semisottolaneve.org/ssn/a/21608.html):
la guerra viene raccontata in termini di potenza, attacchi, ritirate,
mai dal punto di vista dei comuni esseri umani che ne subiscono le
conseguenze.
Gli hibakusha erano “dentro il fumo”. Avevano
pochi anni all'epoca del bombardamento, ma abbastanza da conservare dei
ricordi. Come la signora Teruko Yahata, allora una bambina di 8 anni –
oggi una signora dalla pelle diafana e un caschetto di capelli
nerissimi: il suo ricordo più vivido di quei giorni, dice, è il cortile
della sua scuola elementare trasformato in crematorio. Dev'essere
qualcosa di impressionante per dei bambini perché anche il signor Akira
Ikeda, di Nagasaki, allora 13enne, non riesce a dimenticare di aver
aiutato a trasportare i corpi di molti conoscenti alla sua scuola per
essere cremati nel cortile.
Yahata e Ikeda fanno parte di un piccolo gruppo di hibakusha
che incontro a Civitavecchia a bordo di Peace Boat, grande nave da
crociera dell'omonima Ong internazionale con sede in Giappone. Nata
nell'83 per indagare le responsabilità storiche del Giappone nelle
guerre del ventesimo secolo, da trent'anni esatti la “nave della pace”
organizza viaggi, i primi in Asia-Pacifico e poi nel mondo intero, per
diffondere un messaggio di pace, per il disarmo nucleare, per la
sostenibilità ambientale. Da qualche tempo partecipano anche gruppi di
sopravvissuti al bombardamento atomico: lo chiamano progetto Orizuru,
dal nome della piccola gru di origami scelta come logo della spedizione,
tradizionale simbolo giapponese di pace e speranza. A questa
conversazione a più voci partecipano anche Francesco Martone, ex
senatore e responsabile esteri di Sel, e membro onorario della rete
internazionale dei Parlamentari per la non proliferazione e il disarmo
nucleare, e Yukari Saito, fondatrice del Centro di documentazione Semi
sotto la neve.
Oggi viaggiano il mondo per testimoniare, ma
parlare del passato non è stata la prima preoccupazione, per questi
signori tra i 75 e gli 80 avanzati – il più anziano del gruppo, il
signor Susumo Tsuboi, è nato nel 1928; il più giovane, Hideki Takamura, è
del '43 e aveva poco più di un anno quando la bomba è stata sganciata.
Lui era troppo piccolo per avere ricordi personali, ma gli altri hanno
visto morire parenti e amici, sono stati sfollati… Dopo la guerra hanno
studiato, trovato lavoro, si sono sposati, hanno avuto figli. “Più
profonde sono le ferite lasciate dagli eventi, meno hai voglia di
raccontarle”, osserva Ikeda, ingegnere aeronautico in pensione. Solo con
la pensione e l'età più avanzata hanno sentito la necessità (“il
dovere”, dice Ikeda) di disseppellire i ricordi. “Ero molto presa dal
mio lavoro e dalla famiglia”, spiega la signora Yahata: “Ogni anno però,
il 6 agosto, mi prendeva il terrore. Mi chiedevo: i miei figli
riusciranno a vivere senza dover vedere di nuovo una cosa simile?
Passati i 70 anni mi sono detta: la mia memoria è così vivida, e sono
probabilmente l'ultima generazione che ha visto la bomba atomica. Allora
ho cominciato a parlare – nei forum per la pace, nelle università, ai
giovani”.
Testimoniare “è diventata una responsabilità”, dice il
signor Takashi Miyata, di Hiroshima, che aveva 5 anni quando è caduta la
bomba. “Sopravvivere a quella bomba è stato il punto di partenza della
mia vita. Mi interrogo spesso sul senso di tutto ciò, perché tanti siano
morti”. Per tutta la vita Miyata ha lavorato come ingegnere alla
Mitsubishi Electric, che produce anche impianti nucleari, e ha viaggiato
molto per lavoro. In Libano e Giordania ha visto bambini vittime di
guerra. In seguito, negli Stati uniti e in Messico – dove è stato alcuni
anni – ha sentito le storie di vittime di centrali nucleari: “Allora ho
avuto la sensazione di essere nella parte del carnefice”. È cominciata
allora una riflessione sulla complessità della storia, dice: era un hibakusha, quindi una vittima, ma il suo paese aveva responsabilità storiche, aveva fatto vittime e continuava a farne...
Il
problema è come raccontare il passato. “Trasmettere testimonianze
dirette è davvero dura, sia per chi parla che per chi ascolta”, osserva
Ikeda – in effetti durante questa conversazione gli accenni a
circostanze personali sono rari. Miyata ad esempio ha costruito un
modello in scala reale di Fat Man, soprannome della bomba sganciata di Nagasaki (l'altra, quella lanciata su Hiroshima, era Little Boy),
e lo porta nelle scuole. “Mi trovo a parlare a ragazzi dai 6 ai 18 anni
che non sanno nulla di quanto è avvenuto: il fatto è che i loro stessi
genitori non conoscono molto della guerra. E il sistema scolastico in
Giappone non trasmette in modo veritiero i fatti storici”, osserva
Miyata. Cita un incontro con studenti tedeschi, dove rimase
impressionato dai loro discorsi sulla Germania nazista e sull'Olocausto:
“In Giappone non c'è altrettanta coscienza storica”.
foto scattata da Giuseppe Ibelli |
Ed è questo il punto su cui gli hibakusha
insistono. Dopo la guerra il loro paese si è dato una Costituzione di
pace – l'articolo 9 esclude la guerra se non per autodifesa – eppure il
Giappone ha imboccato la via del riarmo: “Il mio auspicio è che questo
articolo 9 sia realizzato e non solo in Giappone, ma che diventi
patrimonio comune del mondo”, dice il signor Ikeda, “la realtà però va
in direzione opposta”. Con Peace Boat gli hibakusha si battono
per il disarmo nucleare, perché sia realizzato l'Articolo 9 della
costituzione - e forse per dare un senso al fardello che si sono portati
dentro per tutta la vita.
“Vede, ero salita a bordo per
'testimoniare': ma poi ho imparato molto sulla nostra storia di
aggressori”, interviene con voce lieve la signora Teruko Yahata, che
tende a lasciar parlare i suoi compagni di viaggio ma ora sente il
bisogno di spiegare. “Ho imparato che tutto andrebbe visto nel quadro
della storia. Sono infuriata con il mio governo che vuole modificare la
nostra costituzione”. Quando era ragazza, dice, le piaceva molto una
canzone che diceva, all'incirca, 'com'è bello il mare, c'è un mondo
oltre questo mare'. Sorride: “Ora, in età avanzata, finalmente ho
attraversato il mare. Ho visto posti bellissimi, ma distrutti dalle
guerre”. Mentre ci salutiamo, con aria sommessa, mi dice: “Spero di
averle risposto”.
l'articolo pubblicato anche su sbilanciamoci.info:
http://www.sbilanciamoci.info/Sezioni/globi/Giappone-Italia-i-sopravvissuti-dell-atomica-20016foto: Centro di documentazione Semi sotto la neve |
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