martedì 29 gennaio 2013

Fukushima (Italiano)




 
Pubblicato in data 26/gen/2013
Il disastro nucleare di Fukushima del 2011 avrà gravi ripercussioni per molte generazioni. Spero che questo video aiuterà a sensibilizzare sul problema radiazioni e ad aprire una nuova discussione: la cosa peggiore che possiamo fare è ignorare quanto accaduto. Io sono uno studente di scuola superiore di soli 16 anni e perciò non ho tutte le risposte. Però ho un sacco di domande.

Questo video è disponibile in 10 lingue, e sono molto grato alle seguenti persone per l'aiuto con le traduzioni:

• English (Myles): http://youtu.be/Qyg1lxKaJHQ
• Deutsch (Coralita Arnold): http://youtu.be/bV6kgaSv9Qk
• Español (Alicia Rojo Santos): http://youtu.be/fW84Ko8LAi4
• Français (Géraldine Viaud): http://youtu.be/z-I-YAG11Zw
• Italiano (Michaela Spinelli): http://youtu.be/5VC7IUDP14Q
• Português (Julia Lombardi): http://youtu.be/NMOswacivPg
• Pу́сский язы́к (Sophya Abramchuk): http://youtu.be/6gUSk4avs2A
• 中文 (xxx):
• 日本語 (YGJ): http://youtu.be/njjz2YgseQo
• 한국어 (Ellie Won):

mercoledì 16 gennaio 2013

La lezione di storia - imparare per e da Fukushima



la versione originale e integrale dell'articolo pubblicato su il manifesto del 15 gennaio 2013

Conoscere l’avversario

1. Sfruttando il sistema burocratico scaricare la responsabilità su altri;
2. Confondere le idee alle vittime e all’opinione pubblica per dare l’impressione che ci siano i pareri pro e contro su ogni argomento;
3. Far sì che le vittime si litighino tra di loro;
4. Non registrare i dati e non lasciare le prove;
5. Temporeggiare.

la prima edizione giapponese deldocumentario
Sono alcune strategie adottate dalle autorità giapponesi che affliggono le vittime del disastro nucleare di Fukushima. A elencarle è Aileen Mioko Smith, la fondatrice e direttrice di Green Action, un’organizzazione non governativa giapponese con la base a Kyoto che lavora da più di vent’anni contro l’energia nucleare. Secondo Aileen, sono identiche ai metodi usati in passato con i malati della sindrome di Minamata, causata dell’intossicazione acuta da mercurio contenente nei rifiuti industriali scaricati nel mare, di cui i primi casi sono stati riconosciuti nel 1956. 
Chi altro saprà descrivere il meccanismo dello sviluppo che logora le vittime meglio di lei? Nata a Tokyo nel 1950 dal padre americano e la madre giapponese, Aileen ha lavorato sin da giovanissima a fianco di Eugene Smith, mitico fotografo americano che divenne poi suo marito. Andarono a vivere a Minamata nell’isola meridionale di Kyushu da dove denunciarono al mondo non solo la malattia ma anche i crimini industriali e molte vicissitudini delle vittime.
 
L’elenco di Aileen continua: 
 
6. Condurre le indagini con l’obiettivo di minimizzare i danni; 
7. Estenuare le vittime affinché rinunci a lottare per i propri diritti; 
8. Stabilire un criterio per riconoscere le vittime meno possibile; 
9. Evitare che le informazioni arrivino oltre i confini. 
10: Organizzare conferenze internazionali invitandovi degli esperti compiacenti.
 
Giunto all’ultimo punto, ci viene un riso amaro: ecco, ci siamo. 
L’ultima è stata, difatti, una conferenza ministeriale organizzata dal governo giapponese 
e dall’Agenzia internazionale per l’energia atomica (AIEA) a Koriyama nella Provincia 
di Fukushima dal 15 al 17 dicembre scorso. L’incontro con gli ospiti da 117 paesi e 
13 organi internazionali ha partorito ciò che la società civile temeva: una dichiarazione 
piena di autocompiacimenti che sdrammatizza la situazione attuale senza alcuna 
attenzione ai reali bisogni della popolazione che subisce le conseguenze del disastro. 
Tutto con il beneplacito dell’AIEA.
 
«Nonostante Fukushima ci abbia insegnato la necessità di separare l’organo di controllo 
da quello per la promozione dell’energia nucleare, il governo giapponese ha ripreso 
il vecchio vizio: per minimizzare il disastro ricorre all’autorevolezza internazionale 
dell’AIEA, un ente che confonde le due mansioni », commenta la signora Smith.
 
 
Divide et impera

«Siete ancora in Fukushima? Anche i bambini? Ma, come fate, perché non venite via?». Sono le frasi che suonano logoranti a molte persone rimaste nella provincia per vari ragioni. Acuiscono ulteriormente il loro senso di colpa in particolare nei confronti dei figli; e sentirle a dire ripetutamente, per la sopravvivenza più che altro psicologica, si finisce per smettere di portarsi la maschera, di fare attenzione al livello delle radiazioni e perfino di pensarci, insomma di fare finta di nulla. Si litigano tra le vittime, in famiglia e tra i vecchi amici. Anche quando non si scontrano frontalmente, la distanza, la reticenza e l’incomprensione tra chi rimane e chi se n’è andato crescono col passare del tempo; eppure fino all’incidente vivevano uni accanto agli altri in armonia. 

Eppure, chi immagina le persone riparatesi subito fuori dalla provincia per sottrarre i figli dalle radiazioni appartenessero ai ceti benestanti si sbaglia; si scopre che molti degli evacuati di propria iniziativa sono single mothers, che non avevano nulla da perdere nell’andarsene: più libere dai legami e dai vincoli di vario genere, senza una casa di proprietà, senza un lavoro stabile e ben pagato ecc..   

Intanto, il governo centrale e le amministrazioni locali hanno invitato gli abitanti a rientrare e riprendere la vita facendo leva sul loro amore per Fukushima. Hanno annunciato la sospensione di ogni aiuto finanziario a chi vuole allontanarsi dalla provincia sostenendo che l’allarme è ormai rientrato per molte zone grazie agli sforzi della decontaminazione. La benedizione dell’AIEA alle autorità giapponesi è arrivata in questo contesto.

Malgrado ciò, gli ultimi sondaggi effettuati da un quotidiano locale di Fukushima ci riferiscono che 3 abitanti nella provincia su 4 auspicano la demolizione immediata di tutti i 6 reattori nucleari ancora esistenti sul territorio (oltre ai 4 incidentati già in via di smantellamento). 


lunedì 14 gennaio 2013

Album fotografico - Nuclear Free Now! - Part 4

Viaggio nella Baia di Wakasa - visita alle centrali nucleari (26/12/2012)


Centrale nucleare di Tsuruga

uno spazio pronto per costruire altri 2 reattori per Tsuruga NPP
Tsuruga NP Watching (al museo)



un gioco per sperimentare le scosse di terremoto
Centrale Nucleare di Mihama




Monju sulla spiaggia
il villaggio Shiraki che ospita Monju



Un monumento che ricorda salvataggio di una nave coreana naufragata

Centrale nucleare di Ooi vista da Obama

Album fotografico: Nuclear Free Now! Part 3

Altri interventi della nostra delegata dall'Italia: Monica Zoppe'

alla manifestazione @ Hibiya Park (15/12)

Monica Zoppe' che interviene dal palco


incontro dei giovani di Fukushima on PeaceBoat (15/12)

La reception - gli ospiti stranieri incontrano le rappresentanti della societa' civile giapponese

 Una riunione strateciga dei partecipanti - stranieri + ONG giapponesi dopo la conferenza (17/12)


a Kyoto con un incontro informale @ bottega di commercio equo e solidale (18/12)

partecipazione fuori programma alla conferenza di Paul Gunter @ Universita' Doshisha a Kyoto (18/12)

Album fotografico: Nuclear Free Now! Part 2

La grande marcia Nuclear Free nel cuore di Tokyo - 15/12/2012





  











Conferenza Globale per un mondo libero da Nucleare Tokyo - 15-16/12/2012 
Dalla Taiwan

dall'Italia
il costo del fotovoltaico in Germania: 66% meno in 6 anni

dal mondo
Youth Session - i giovani stupendi

meeting con gli ospiti stranieri e i giapponesi all'estero

Album fotografico: Nuclear Free Now! Part 1


Della visita a Fukushima 14/12/2012

Una breve lecture sulle situazioni locali prima della partenza


Un stupendo paesaggio tragicamente contaminato
un giovane di Iitate-mura ci spiega la storia del luogo prima del 11/3/2011 e degli ultimi 21 mesi
uno dei depositi provvisori della terra contaminata asportata
uno dei punti di monitoraggio: chi dice la verita'?


la pioggia deposita le radiazioni
Una fattoria nella zona evacuata: il proprietario non vuole uccidere gli animali quindi ci resta e gli da da mangiare ogni giorno
Namie proivita (a circa 15 km dalla centrale)

ancora abbandonato dopo Tsunami

a circa 12/13 km dalla centrale Fukushima Daiichi

martedì 1 gennaio 2013

Dal paese del pescegatto

Pubblichiamo un articolo, scritto d'estate scorsa su richiesta di una rivista toscana, che non ha ancora visto luce dopo diversi mesi.

                                                        di Yukari Saito

L'arte di convivere con il terremoto

Più di 10 anni fa, quando il Campanile in Piazza dei miracoli aveva ancora i fili d'acciaio tiranti, dopo averne mandato un servizio alla stampa giapponese parlavo con il redattore. «Se la Torre si trovasse da noi, l'avrebbero smontato per ricostruirla su una base più solida», commentava il mio interlocutore. Egli era assai colpito dal fatto che vi si dedicasse così tante energie in termini economici e intellettuali. 
Eravamo, tuttavia, d'accordo che ricostruendola il monumento avrebbe perso il suo fascino e l'unicità nel mondo.
Chi arriva in Giappone dall'Europa noterà subito che la maggior parte degli edifici sono di costruzione recente. E vi si vedono i lavori di distruzione e di costruzione molto più sovente che di restauri. Sarà per i materiali usati, il legno e la malta per le case al posto di pietre o mattoni, ma la brevità della vita dei palazzi in cimento armato dovrebbe trovare qualche altra spiegazione.

Le apocalittiche scene dell'11 marzo 2012, le grosse onde nere che spazzavano via le costruzioni insieme alle vite per centinaia di chilometri di coste nel nord est del Giappone, potrebbero suggerirci qualche chiave di lettura. Benché quelli erano di una scala davvero eccezionale, i grossi sismi devastanti erano noti a molti, almeno tra i meno giovani. Tant'è che il terremoto occupa al primo posto tra i fenomeni più temibili elencati in un proverbio. (Lo seguono il fulmine, l'incendio poi il tifone, che un equivoco ci tramanda come padre autoritario.)

E' probabile che quello spaventoso sisma ci abbia rafforzato la concezione fugace della vita e il rifiuto - forse inconscio - di contare sull'eternità, le caratteristiche già diffuse tra la popolazione dai tempi antichi. Si prepara per il peggio con dei piccoli e a volte geniali accorgimenti, ma quando succederà, succederà e c'è poco da fare...


Questa rassegnazione davanti alle forze naturali indusse i giapponesi del medioevo a pregare le divinità e a graziare i nemici (perché credevano che fossero le maledizioni dei vinti a provocare le calamità naturali). 

E nell'età moderna, cercarono di sdrammatizzare con la satira raffigurando il pescegatto come artefice delle scosse; negli ultimi decenni, invece, si tende ad andare avanti escludendo dal pensiero ogni probabilità di rischio (come hanno fatto le autorità di controllo dell'energia atomica a lasciare a costruire 18 centrali con 54 reattori in un arcipelago pieno di faglie attive).