L’anno appena iniziato è, in
Giappone (e in alcuni paesi nell’Oriente), anno del dragone, animale di
fantasia con un aspetto minaccioso che i giapponesi considerano come un loro protettore
contro le afflizioni della vita.
A capodanno molti gli hanno, difatti, dedicato
una prega, forse più fervore del solito, sperando che cacci via tutte le
sfortune che hanno toccato al paese nel 2011.
Con uno spirito sicuramente
meno superstizioso ma carico di altrettanta speranza sei associazioni
giapponesi antinucleari, tra le quali Peace Boat e Greenpeace Japan, hanno
organizzato per questo fine settimana Global Conference for a Nuclear Free
World.
A Yokohama, la città portuale confinante con Tokyo, si aspettano dieci
mila partecipanti in due giorni.
“Volevamo lanciare un messaggio
forte all’inizio dell’anno per incoraggiare una svolta radicale dal basso”,
dice Akira Kawasaki, uno degli rappresentanti di Peace Boat, l’artefice principale
dell’iniziativa. “Come nel secondo dopoguerra quando i migliori scienziati si
sono dati alle ricerche di fisica nucleare sperando di trovarvi una ricetta per
riportare il benessere al Paese, ora, dobbiamo radunare tutte le nostre risorse
per trovare una soluzione alternativa al nucleare. Volevamo proporre questa
conferenza come una fonte di speranza tra i cittadini che desiderano l’uscita
dalla dipendenza dal nucleare ma hanno dei dubbi sulla fattibilità. Desideriamo
che diventi un luogo del primo brain storming che coinvolge tutti soprattutto i
giovani”.
I giovani ne saranno, in
fatti, i protagonisti. Oltre a vari programmi per i bambini, la maggiorana dei
relatori sono sotto i cinquantenni. Ci saranno pure i piccoli giornalisti che
ne faranno reportage.
L’idea era nata nell’estate
scorso durante una crociera che gira nel mondo organizzata Peace Boat. C’erano
i ragazzi di Fukushima ospiti dall’Ong, molto attiva anche nei soccorsi dei
terremotati, che voleva concedergli una vacanza libera dalla radiazione.
“Ascoltando
le preoccupazioni dei genitori che li accompagnavano, abbiamo sentito il
bisogno di fare qualcosa” racconta Kawasaki. “Dopo l’incidente di Chernobyl i
soccorsi alle vittime sono arrivati da tutte le parti del mondo. Ora, averne
bisogno siamo noi. Chiediamo al mondo di unire le forze per trovare una via d’uscita
definitiva dal nucleare”.
Nonostante le recenti dichiarazioni
tranquillizzanti del Governo di Tokyo, la situazione di Fukushima 10 mesi dall’incidente
resta assai critica, lontana dal rientro dell’allarme. Anche negli ultimi
giorni si è registrato un sensibile aumento del Cesio nella zona.
E proprio da Fukushima si avrà
un nutrito gruppo di partecipati che avranno un loro spazio Fukushima Room, allestito
per dialoghi tra gli abitanti e chi vuole da offrirgli un sopporto. Perché partire
da Fukushima costituisce il motto dell’iniziativa: pensare al futuro senza il
rischio di ripetere la tragedia attraverso la conoscenza approfondita della
realtà dei fatti e la solidarietà con le vittime del disastro.
Anche gli ospiti stranieri –
una cinquantina di attivisti, le vittime-testimoni del nucleare, politici e
scienziati provenienti da circa 30 paesi sparsi in tutti i continenti –
cominceranno la loro esperienza giapponese da lì; con una visita organizzata ricca
di incontri con le associazioni locali tra il 12 e 13 gennaio.
Alcuni nomi di
rilievo tra i relatori stranieri: Riccardo Navarro, Mycle Schneider, Eric
Martinot. Inoltre, due parlamentari della Giordania, paese dove il governo
giapponese sta cercando di esportare degli impianti nucleari, nonché Selenge
Lkhagwajav, un’attivista e il leader del partito dei Verdi in Mongolia. E il gruppo pi ù nutrito di 14 componenti viene dalla vicina Corea del Sud dove ci sono 21 reattori nucleari mentre al secondo posto c'è Australia, il terzo produttore mondiale dell'uranio.
“Il nostro obiettivo è
preparare un terreno che sarà il punto di partenza per vari progetti concreti”
si legge in un cominicato interno.
E i progetti concreti sono classificati in 7 categorie:
Azioni urgenti per Fukushima;
Creazione di nuovi network e gruppi che si
attiveranno a partire dalla conferenza di
Yokohama;
I doveri del governo giapponese;
I doveri di tutti i governi;
Ciò che possono fare gli enti locali;
Ciò che possono fare le aziende;
Ciò che
ogni singolo cittadino può fare.
Tra i numerosi temi trattati
nelle sessioni principali e nei workshop autogestiti attireranno sicuramente l’attenzione
di molti visitatori le iniziative popolari per richiedere un referendum sul
nucleare.
La Costituzione giapponese non prevede i referendum al di fuori delle
modifiche costituzionali, ma i referendum consultivi locali ce ne sono già stati
fatti in diverse zone anche sulla costruzione delle centrali nucleari.
Ora,
potrebbe darsi stimolato della notizia del referendum italiano del giugno
scorso, i dibattiti sull’opportunità di far esprimere ai cittadini si sono
animati portando alcuni gruppi dei cittadini di Tokyo e di Osaka a promuovere
le raccolte delle firme per la richiesta
formale di indire un referendum.
Per la società giapponese ancora abituata a
delegare le decisioni ai politici sarà un’impresa irta di ostacoli, ma la
conferenza servirà a molti per stimolare la coscienza e per ottenere la maggiore
informazioni per riflettersi.
http://www.ilmanifesto.it/area-abbonati/in-edicola/manip2n1/20120113/manip2pg/09/manip2pz/316382/
(c) Yukari Saito
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