domenica 25 marzo 2012

L'arca per la pace giapponese: intervista a Tatsuya Yoshioka di Peace Boat

Lo scorso 11 marzo, in tutto il Giappone sono state svolte le commemorazioni del primo anniversario del disastro sismico che aveva colpito una vastissma zona del territorio. Nello stesso giorno, mentre il primo ministro giapponese Noda dichiarava la sua ferma volontà di riattivare al più presto alcune centrali nucleari ferme per i controlli, sia in Giappone sia nel resto del mondo ci sono state numerose manifestazioni per dire mai più Fukushima e no al nucleare. In Europa, la più massiccia partecipazione si è vista in Francia: una catena umana composta di 60 mila persone si è formata tra Lione e Avignone, la zona della più alta concentrazione degli impianti nucleari in Europa. Molte di queste mobilitazioni rispondevano all’appello lanciato alla Conferenza globale per un mondo libero dal nucleare, svoltasi a Yokohama due mesi fa. 
La Conferenza di due giorni, a cui hanno partecipato 120 mila persone, era stata proposta e preparata in meno di 3 mesi da Peace Boat, l’Ong giapponese con uno statuto consultivo nella categoria speciale del Consiglio Economico e Sociale delle Nazioni Unite.

Tatsuya Yoshioka nella sede di Peace Boat a Tokyo
“In 29 anni passati con Peace Boat, il più grosso rammarico che ho è quello di non aver potuto evitare l’incidente di Fukushima”, dice Tatsuya Yoshioka, uno dei fondatori dell’organizzazione che oggi ha 51 anni. “Nonostante ci fossimo sempre impegnati contro l’energia nucleare sin dai tempi di Chernobyl, evidentemente non eravamo efficaci da poter influire sulla situazione. Perciò, abbiamo sentito il dovere di realizzare un evento mondiale per smuovere le acque sfruttando tutte le nostre conoscenze e i know-how acquisiti negli anni”.

Peace Boat, difatti, aveva tutte le carte in regola. Centinaia di volontari a disposizione, la capacità di coordinare il loro lavoro, di programmare le sessioni e di chiamare tanti ospiti stranieri da tutti i continenti tra cui diverse decine di relatori esperti e attivisti di primissima linea, senza dimenticare la praticità di raccogliere i fondi necessari, mentre molte associazioni co-promotrici e i sostenitori rimanevano piuttosto scettici sul successo.

La sua singolare impresa era partita nel 1983 con una nave da crociera affittata - a prezzo stracciato per una disdetta di prenotazione - da un gruppo di studenti ansiosi di conoscere il mondo oltre i confini. Volevano soprattutto scoprire la verità sulla storia contemporanea non fidandosi dei testi scolastici che spacciavano l’invasione nipponica nell’Asia per una semplice espansione della Nazione e negavano gli atti criminali commessi dagli eserciti dell’Imperatore contro le popolazioni locali. Queste mistificazioni storiche, naturalmente, provocarono le indignazioni creando le tensioni tra il Giappone i paesi aggrediti.
“Il bisogno di avere una cognizione dei fatti storici comune con gli altri asiatici ci spinse ad andare a vedere i luoghi con i nostri occhi e ad incontrare la gente del posto”, ricorda Tatsuya.
Non erano, però, i figli di papà. Hanno lavorato sodo per realizzare questo progetto. Il loro motto “ognuno sarà artefice della crociera”, è una regola tuttora valida e consente anche ai giovani di viaggiare con i biglietti scontati in cambio dei lavori di volontariato.
All’inizio, il progetto non aveva un programma a lungo termine, si pensava alle singole crociere nell’Asia sud orientale. Ma, più scoprivano la realtà più crescevano la loro curiosità e il desiderio di fare qualcosa per migliorarla. Tatsuya stesso andando in Vietnam e nelle Filippine si rese conto che il contrasto tra il Sud e il Nord fosse ancora più grave di quello tra Est e Ovest.

Poi, con la caduta del muro di Berlino Peace Boat compie un salto di qualità: nel 1990 parte la prima crociera dell’intero pianeta Terra. (Si chiama veramente così, perché è la Terra a starle a cuore e durante la prima crociera effettuano un check up della sua salute).
Nella prima metà degli anni novanta susseguirono alcuni fatti estremamente importanti: la Guerra nel Golfo, il Summit a Rio e i conflitti in ex Jugoslavia ecc. e ogni volta la nave e i suoi passeggeri Si trovarono fortemente coinvolti nella vicenda e ciascun’esperienza lasciò un segno indelebile alla sua evoluzione successiva moltiplicando i progetti e allargando i contatti con le realtà concrete o con la società civile delle zone.

Nel 1995, un’altra svolta: subito dopo il terribile terremoto di Kobe, che fece oltre seimila vittime, i volontari di Peace Boat si trovarono nei luoghi del disastro a soccorrere la popolazione. E tornarono con altre esperienze e contatti preziosi.
Tutte queste agilità e praticità in azioni da dove nascono?

“Penso che sia un frutto dei cattivi esempi delle generazioni precedenti”, confida Tatsuya a bassa voce e con un sorriso biricchino (sapendo che siamo coetanei). “Non è che voglio negare la loro esperienza. Ma, molti mali vengono, prima di tutto, dal pensare troppo senza conoscere la realtà da vicino. La realtà ci svela sempre le cose che a testa si riescono nemmeno immaginare. Se hai contatti con la realtà, capisci meglio che cosa va esattamente fatto per risolvere problemi. In secondo luogo, per cambiare le cose dobbiamo essere in tanti a impegnarsi, se la linea di massima e l’obiettivo sono in comune, dobbiamo e possiamo unire le forze e lavorare insieme”. Ma, la caratteristica più peculiare di Peace Boat è probabilmente la democrazia della sua gestione. Non ha un leader, presidente o un padrone. “Ci sono circa 150 soci che condividono equamente la responsabilità economica. Questo sistema ci libera da ogni gerarchia dei rapporti e la concentrazione del potere”, spiega Tatsuya e ne svela il segreto. “Far partire una crociera comporta un’enorme responsabilità ma poco profitto. Non ricavare i profitti è un grossissimo vantaggio per poter rimanere democratici. L’unica forma di boss che riconosciamo è il cruise director a tempo determinato di un giro che, se fa buon lavoro, può permettersi di bere un ottimo sake al termine del viaggio”.

Ma, il vero segreto del successo sta nella nave. “All’inizio questo mezzo è stato scelto per una semplice ragione economica. Però, subito ci siamo accorti dello spazio magico che la nave ci offre”, racconta Tatsuya. “Prima di tutto, si crea una comunità con i certi valori e le relazioni interpersonali che nei paesi industrialmente sviluppati sono andati perduti con l’eccesso dell’individualismo. E, siccome viaggiano tante persone diverse e sulla nostra nave possono proporre anche loro delle iniziative autogestite, si forma un’ottima scuola di tolleranza e una palestra per la crescita personale. Infine, sulla nave che, è un territorio neutro, è possibile far incontrare le persone delle parti contrastanti e offrirgli uno spazio di dialogo”.

Oggi, al settantacinquesimo giro della Pianeta, Peace Boat ancorata nel porto di Civitavecchia, sta organizzando una conferenza internazionale dei cittadini per una denuclearizzazione del Medio Oriente.

Akira Kawasaki, un altro rappresentante di Peace Boat e coordinatore di quest’iniziativa spiega: “Per via del nucleare, la tensione tra Iran e Israele sta raggiungendo un livello davvero allarmante. L’unica soluzione realistica per uscire da questa crisi è la denuclearizzazione dell’intera zona mediorientale. Noi come società civile vogliamo sostenere questa sfida attraverso il nostro contributo”. Poi aggiunge, “come giapponesi abbiamo sperimentato sulla nostra pelle Hiroshima, Nagasaki e di recente anche Fukushima. Noi sentiamo davvero il dovere di ribadire a tutto il mondo l’orrore del nucleare”.
Stasera, l’Arca per la pace salperà diretta a Grecia con i rappresentanti di 16 paesi, Israele, Iran e Palestina compresi, che continueranno la conferenza a bordo.


http://www.peaceboat.org/english/?page=view&nr=26&type=22&menu=62

“Il Giappone non è una provincia insignificante nell’Estremo oriente. Credo che sia uno dei popoli nel mondo che hanno vissuto le esperienze di guerre più terribili e inimmaginabili sia da vittime che da carnefici. Ciò comporta una grave responsabilità nei confronti dell’umanità: dobbiamo parlarne perché va in mezzo il futuro dell’umanità. Purtroppo, il Giappone resta negligente e addirittura si presta per aggravare la situazione.”   

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